La città di Zaira

Ci sono cose che sappiamo da tutta una vita. Cose che conosciamo alla perfezione da quanti racconti abbiamo ascoltato a riguardo e da quanti libri e siti abbiamo consultato per comprenderle. Succede talvolta che di queste cose diventiamo anche esperti, per la mole di informazioni che riusciamo a racimolare su di esse. Ma fino a quando una di queste cose non ci travolge in prima persona non ci rendiamo conto di quanto insensata fosse la nostra conoscenza, non sbagliata o meno importante e valida, semplicemente non basata sui nostri sensi.

Ed il momento in cui ci rendiamo conto di ciò è una esperienza unica, di una forza che non lascia il dubbio sulla sua sensatezza. Tale momento può essere il risultato di una esperienza maturata nel tempo o può durare l’istante di un battito di ciglia, ma sempre è una sensazione sconvolgente.

È il passare dal “sapere” al “sentire”.

A volte i grandi artisti ci aiutano ad effettuare questo passaggio, con le loro opere che riescono a farci scorgere un frammento, un barlume di quella realtà che l’esperienza riesce a spalancare.

Un grande scrittore del novecento tentò, con una incredibile sensibilità, di raccontare le nostre città, e con questo brano ci apre un acuto spiraglio su uno dei valori chiave delle città europee, e in particolare dei centri storici italiani.

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni.

Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so che già sarebbe come non dirti nulla.

Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesavano il percorso del corteo nuziale della regina; l’altezza di quella ringhiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba; l’inclinazione d’una grondaia e l’incedervi d’un gatto che s’infila nella stessa finestra; la linea di tiro della cannoniera apparsa all’improvviso dietro il capo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia della cannoniera dell’usurpatore, che si dice fosse un figlio adulterino della regina, abbandonato in fasce lì sul molo.

Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata.

Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira.

Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.

Italo Calvino

da Le città invisibili

Uno dei valori più emblematici delle nostre città è infatti la loro storia.

Può sembrare banale, un luogo comune sentito mille volte e un dato di fatto che conosciamo alla perfezione e che (ovviamente) condividiamo. Però finchè non ci capita di porre attenzione alle nostre passeggiate per uno qualsiasi dei nostri centri storici non riusciamo ad essere sinceramente consapevoli di questa caratteristica (limite/opportunità) delle nostre città. L’emozione di calpestare i passi della storia può capitare in tanti luoghi simbolo degli avvenimenti cruciali per l’umanità. Ma toccare con mano e vivere le pietre che questa storia hanno accompagnato è un privilegio che può provare solo chi vive in una società che nei secoli ha considerato la memoria un valore pregnante della sua identità. Le pietre dei piccoli e grandi centri storici italiani sono ricche di milioni di storie, da tanti considerate minori, ma che sono l’essenza della nostra cultura e ne racchiudono la ricchezza. È importante non dimenticarlo e cercare di ricordare queste storie, che sono le storie di chi ci ha preceduto e ha formato l’ambiente in cui viviamo.

Il grado di resilienza dei nostri centri storici pare elevatissima: le generazioni passano, le esigenze cambiano, e i luoghi si adattano alle nuove funzioni, ma le pietre restano con il loro bagaglio di saggezza e memorie. Venezia docet.

Conservare i centri storici è una sfida che l’architettura e l’urbanistica italiana hanno lanciato da tempo; è una scommessa su cui ancora vale la pena puntare nella società contemporanea?